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B/c M/n TITO CAMPANELLA
genn 1984

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     Seguendo un servizio in televisione, dedicato a raccogliere dati dai vari protagonisti che sono in qualche modo interessati all’argomento in questione, difficilmente restiamo indifferenti alle dichiarazioni contrastanti dei vari intervistati. Soprattutto quando si tratta di una tragedia dove hanno perso la vita delle persone. A prescindere dall’evento, la situazione è sempre simile in ogni disgrazia, sia per un incidente stradale, la perdita di un aereo, l’affondamento di una nave, il collasso strutturale di un ponte, di un edificio, e così via.
Ogni responsabile difende il proprio operato con ogni mezzo e pur senza incolpare le altre parti in causa, lascia intendere di aver compiuto il proprio dovere fino in fondo. Prendo ad esempio un caso di cronaca accaduto quarant’anni or sono, che proprio in questi giorni se ne ricorda la tragedia attraverso una trasmissione televisiva chiamata “Chi l’ha visto?
L’affondamento della Tito Campanella!
Non avendo mai riscontrato alcun oggetto in mare dopo la sua scomparsa e neppur aver trovato in fondo al mare qualche traccia del relitto, (non si è mai cercato), si suppone che sia affondata perché all’improvviso, nel mare in burrasca del Golfo di Biscaglia, dove si trovava, si sono perse le tracce radar che indicavano la sua posizione. Nel 1984 il giornalista Alberto La Volpe, trasmette un servizio su Rai Uno della tragedia intervistando la maggior parte dei protagonisti della vicenda: l’armatore, il suo avvocato, i rappresentanti del RINA, (registro navale italiano che controlla le specifiche e le classi delle navi), i sindacati, la stazione radio costiera di Romaradio, i familiari dell’equipaggio, alcuni membri che hanno lavorato a bordo dell’imbarcazione e chiunque avesse qualche attinenza con la nave, l’equipaggio ecc.

All’epoca, facendo parte del personale di Romaradio, ed essendo io stesso un ex marittimo avendo navigato per dieci anni, proprio nel periodo di tempo appena prima della tragedia, avevo seguito con vivo interesse la trasmissione. Ogni naufragio per un navigante è una disgrazia che colpisce diritto nel cuore.
Anche pochi giorni fa ho rivisto con grande amarezza il servizio e anche le interviste effettuate da Federica Sciarelli nella sua trasmissione. Seguendo le dichiarazioni dei familiari dell’equipaggio e di altri che erano stati imbarcati in precedenza sulla Tito Campanella, si evinceva senza ombra di dubbio, che la nave era considerata una carretta e che era pericoloso avventurarsi in mare soprattutto se in burrasca e con un carico pericoloso a bordo.

L’armatore veniva accusato esplicitamente che non erano stati effettuati tanti lavori necessari sulla nave e anzi che non era in condizione di navigare in sicurezza. Anche il RINA veniva citato per non aver certificato bene determinate strutture e di averla classificata senza un controllo serio. Naturalmente sia l’armatore che il RINA, avevano documentazione che dimostravano il contrario, tanto che l’armatore riferiva di aver speso solo nell’ultimo anno un miliardo di lire per manutenzione e riparazioni varie. Il RINA dimostrava le documentazioni verificate e firmate dei vari controlli e verifiche realizzate, mentre gli altri dalla loro parte avevano solo parole.
Ascoltando i due servizi, separati da circa quarant’anni l’uno dall’altro, cercavo di non farmi coinvolgere direttamente dall’emozione e dalla tribolazione dei familiari che raccontavano con un nodo alla gola tutto ciò che ricordavano.

L’intervista di un marconista che era sbarcato precedentemente e la lettera del titolare della stazione radio che aveva inviato alla moglie, descrivevano la stazione radio e le sue antenne come obsolete, in avaria e poco funzionanti. Le parole precise furono: si reggevano per scommessa ed una fu strappata dalla forza del vento. D’altra parte l’armatore dichiarava che era stato imbarcato un nuovo ricetrasmettitore in aggiunta alla dotazione, un apparato in grado di trasmettere e ricevere su ogni frequenza marina, un apparato danese della Dancom. Non sono a conoscenza se l’apparato in questione lavorasse sulle frequenze medio-corte (2182 Khz) oppure l’intera gamma decametrica. Comunque, anche se non desideravo farmi coinvolgere emozionalmente, essendo stato un operatore radio che aveva navigato in quelle acque, sapevo che per comunicare con l’Italia o con una stazione costiera europea, non c’erano problemi. La nave era dotata di numerosi sistemi radio sia principali, sia ausiliari e d’emergenza, oltre all’apparato delle V.H.F. che era molto utile quando si navigava presso la costa.
Mi lasciava perplesso la lettera con le lamentele espresse alla famiglia del marconista di bordo per le pessime condizioni degli apparati di bordo e delle antenne malridotte. Queste notizie si esprimono ai colleghi, agli amici, e soprattutto alla compagnia che gestiva il servizio radio, in questo caso la Telemar, non certo alla propria moglie. Perché farla preoccupare eccessivamente? Una faccenda è lamentarsi delle condizioni pessime della stazione radio, un’altra è descrivere le deficienze e rotture, apparato per apparato tramite lettera.

Un ex direttore di macchina della Tito Campanella durante l’intervista ci teneva a precisare cosa significa il termine “CARRETTA”. Spiegava infatti che ciò si presta a tante interpretazioni e che in effetti è un modo di dire evanescente. Se come ha dichiarato la madre del primo ufficiale di bordo, moglie del comandante, la nave fosse stata pericolosa tanto da non poter prendere il mare, certamente la figlia e il genero non sarebbero partiti, perché erano persone serie che conoscevano il mestiere e la propria nave. Andare per mare non è una passeggiata di piacere come vediamo nei film tipo “LOVE BOAT”. Si naviga con qualsiasi tempo e si trasporta di tutto. Per questo si cerca di attrezzare la nave, tutte le navi, con la maggior sicurezza possibile. Purtroppo le situazioni che si possono verificare in mare sono talmente tante che la sicurezza assoluta non esiste. Però si fa di tutto per estendere la sicurezza sempre maggiormente.
Una volta si costruivano le navi per durare a lungo. L’equipaggio era formato da numerosi membri che erano veri e propri maestri nel loro mestiere. La manutenzione era la regola, non bisognava lasciare che l’usura, la ruggine e altro, deteriorassero la nave. Poi nel tempo si cominciò ad imbarcare sempre meno personale, fino ad arrivare allo stretto necessario e anche meno, e quindi la manutenzione finì per passare in secondo ordine e in alcuni casi, non farla affatto. Costruire una nave moderna che durasse solo per un determinato numero di anni per poi svenderla ai paesi del terzo e quarto mondo dopo averla sfruttata al meglio. Questo che scrivo è solo la mia opinione, di solito oggi tutto funziona così, però non è detto che non possa esistere un prodotto creato per durare a lungo. Per quanto riguarda comunque la sicurezza, non ce ne sarà mai abbastanza. Si effettuano sempre maggiori studi per applicare le scoperte ai mezzi che l’uomo adopera. In realtà anche nelle navi appena uscite dal varo, se si controllassero minuziosamente, si scoprirebbero situazioni che andrebbero sostituite o migliorate.

Io ho scritto un libro sui miei viaggi in mare intitolato “IL CARRETTIERE DEL MARE”. Titolo significativo che sta a dimostrare che nel periodo in cui ho navigato io, dagli anni ’60 agli anni ‘70 del secolo scorso, le navi in cui sono stato imbarcato erano tutte delle carrette, ma non certo come intende la maggior parte della gente. Personalmente per carretta io intendo un mezzo che trasporta merce esattamente come le carrette trainate da animali. Un mezzo figurativo per indicare che io non ero altro che un trasportatore anche se invece di andare via terra, andavo via mare. Poi a seconda delle navi in cui sono stato imbarcato ne ho trovate alcune davvero obsolete, altre discrete e alcune anche buone. Tutte però mai completamente soddisfacenti ai miei desideri. Ricordo un vecchio detto genovese: datemi diecimila lire di meno al mese ma lasciatemi il mugugno!

Alzi la mano il navigante che non si è lamentato almeno una volta durante l’imbarco su una sua nave. Sia per il cuoco, per la sala macchina, per la stazione radio, per le stive di carico… insomma qualcosa c’era sempre che non andava, però quando poi si rimbarcava su una nuova nave, si magnificava quella precedente rispetto a quella appena imbarcato. Sulla nave di prima avevo una cabina… altro che questa “rumenta”!!!

Il marittimo è un “animale” a parte rispetto agli altri umani, altrimenti non andrebbe per mare!

Dopo un tremendo uragano in oceano Indiano durato per giorni, volevamo sbarcare tutti al primo approdo. Ci eravamo molto spaventati. La nave per delle ore non governava più tanto era in balia del mare e del vento. Persa una lancia di salvataggio, strappata dalla ponte lancia e finita in mare. A prua la cala delle pitture era tutta colorata perché i barattoli della vernice si erano mischiati tutti. In cambusa avevamo quasi 30 centimetri di liquidi vari tra vino, acqua, bibite ecc. non era rimasta una bottiglia intera. Ciascun membro dell’equipaggio mostrava su sé stesso i segni di dove aveva sbattuto a causa delle forti rollate e beccheggi della nave. Per non parlare della paura! Marinai esperti, gente anziana che ne aveva passate tante, li ho visti in ginocchio a pregare… Si rendevano conto della situazione. Bastava un niente per sparire per sempre in fondo al mare. Io ascoltavo le navi vicine che lanciavano avvisi meteo che avvisavano le altre navi di non entrare nella zona dove loro sfortunatamente erano incappati come noi. Purtroppo l’uragano in questione dopo qualche tempo di stasi, all’improvviso aveva aumentato la velocità e la sua intensità andando verso sud, proprio al traverso della nostra rotta per l’Australia. Non abbiamo avuto alcuno scampo!

Invece giunti a Fremantle, ancora scossi e barcollanti perché dopo giorni e giorni di mare forte, si camminava in maniera strana, intendo alla marinara per reggersi in piedi, nessuno produsse la domanda di sbarco, nessuno! ...Passata la tempesta, odo augelli far festa e… insomma questo è il marinaio!
Tornando alle trasmissioni televisive e ascoltando le dichiarazioni di tutti, inevitabilmente mi affiorano i ricordi incancellabili di quel periodo vissuto in mare. Provengo da una famiglia di marinai e quindi per me navigare era la mia vita. All’inizio, nonostante la mia prima nave fosse da considerarsi alla stregua di un “cacaraccio” (scarafaggio marino) per quanto era vecchia e malandata, costruita nel 1932, affondata durante un bombardamento a Palermo nel 1943, ritirata su e messa in condizioni di navigare nel 1947. Ebbene imbarcai su quella nave battente bandiera panamense nel 1968, con una stazione radio che aveva come ricevitore principale un BC della seconda guerra mondiale, con la manopola della sintonia che si spostava ad ogni rollata della nave. Il trasmettitore principale francese con soli 75 watt in origine. La nave era dotata solo di corrente continua perciò per alimentare gli apparati ero costretto ad accendere due motori, uno dopo l’altro per produrre la tensione alternata con rumori interni che lascio immaginare.
Non descrivo i membri dell’equipaggio, è meglio, ma potete immaginare che chi imbarcava su quel tipo di nave doveva essere o un principiante come me, che non aveva potuto imbarcare come allievo RT oppure… Nonostante questo un giorno il signor Kos Wilin, il secondo ufficiale di macchina (slavo), mi disse che io ero affetto dalla malattia del ferro. Malattia del ferro? Ripetetti? E di cosa si tratta? Non ne ho mai saputo nulla di questa malattia. Kos mi riferì che sono malati di questa malattia solo chi sta bene sulle navi, chi ama il mare e io, malgrado fossi a bordo solo da poco tempo, ero sempre sorridente, felice di questa situazione che normalmente rattrista chi va navigando. Mi disse anche che non andava tutto bene però, perché il giorno che lascerò per sempre il mare, e quel giorno arriverà di certo, avrò perso qualcosa di importante che mi segnerà per tutta la vita. Parole che ricordo bene ancora oggi e che sono state profetiche.

Tutti gli intervistati nei due programmi televisivi, hanno parlato sinceramente. Ognuno di loro con la propria verità, anche se contrastava con quella degli altri. Normale che i sindacati difendessero i lavoratori, che i familiari se la prendessero con la situazione non certo idilliaca di bordo, che i portuali venissero accusati di non aver rizzato bene il carico, ma era proprio così? Che il cattivo tempo avesse causato il disastro a causa del mare grosso, che il carico era un gran brutto carico, che la nave era vecchia, che la stazione radio non era in buone condizioni, ecc. ecc. Potrei continuare per tanto tempo a formulare ipotesi di problemi vari ma alla fine, si è trattato di una disgrazia e forse molte situazioni hanno avuto un ruolo contemporaneo. Magari la forza del mare ha spaccato la chiusura di un boccaporto e l’acqua penetrando attraverso la stiva ha permesso che si spostasse una parte del carico e si rompesse una rizza che teneva fermo un pezzo, facendolo scivolare attraverso la stiva, con le conseguenze che tutti immaginiamo.
Personalmente, non mi sento di accusare nessuno perché fino a prova contraria tutti li considero seri e onesti ad iniziare da chi si dedica ad armare le navi da una vita.

Esprimo solo un’opinione personale cercando di essere obiettivo e facendo riferimento alla mia personale esperienza marittima direttamente in mare e anche quella vissuta indirettamente nelle due stazioni radio costiere, quella di Anconaradio e di Romaradio, lavoro che aveva a che fare sempre col mare, con le navi, con gli equipaggi e i loro familiari, con le agenzie di navigazione, gli armatori ecc. Ho conosciuto degli armatori nella mia vita di navigante, e anche persone che lavoravano per loro. Penso che se avessero potuto dare agli equipaggi di più lo avrebbero dato. Alcuni hanno continuato la tradizione di famiglia, più che un lavoro era una ragione di vita. Insieme alle persone per bene ci sono certamente gli approfittatori, come ovunque. Però in questo campo le famiglie armatrici tradizionali avevano e forse anche oggi (essendo lontano da anni da quel mondo) hanno dalla loro la dignità che altri imprenditori non hanno mai posseduto.
Perciò ascoltando le ragioni dell’armatore della Tito Campanella, io gli credo totalmente. Così come credo in pieno al sindacalista e a tutti gli intervistati. Ognuno con la propria verità, la propria coscienza. Quello che purtroppo è accaduto forse si potrà conoscere, anche se non completamente, se un giorno si individuasse il relitto della Tito nella profondità del mare di Biscaglia. Magari un giorno si riuscirà anche a dare pace ai parenti ed amici di coloro che hanno perso la vita in quella tragedia. Il mare è sinonimo di vita, di progresso, noi tutti proveniamo da lui. Non esiste nient’altro al mondo che ci lega tanto profondamente, sia che sia placido e pacifico, sia che sia tremendamente tempestoso.
Ci ha sempre affascinato, sempre. Non dobbiamo però mai dimenticarci che il mare non è un nostro pari, può esserci amico, certamente, ma mai scordarci di averne rispetto, tanto rispetto sempre!
Natale  Pappalardo febbraio 2025
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